STORIE DI NON SOLO ROCK-NYC, UPPER WEST SIDE

DI CARLO MASETTI

Nella prima metà degli anni ’60 escono nelle sale cinematografiche americane tre film che faranno la storia del musical (ma non solo): West Side Story (1961), Mary Poppins (1964), Tutti insieme appassionatamente (1965).

Definizione di MUSICAL: “Genere di rappresentazione teatrale e cinematografica in cui lo sviluppo narrativo e drammaturgico della vicenda viene portato avanti sulla scena non solo dalla recitazione, ma anche dalla musica, dal canto e dalla danza che fluiscono in modo spontaneo e naturale”.

Quindi, nella narrazione, non solo grandi attori, ma anche ottimi cantanti, eccellenti ballerini e tutti i personaggi di contorno.

Questo genere musicale non è certo nuovo negli States, e tanto meno in Europa: già negli anni ‘30, ‘40 e ’50 erano musical comedies come Shall we dance? (1937), Il Mago di Oz, (1939), Oklahoma! (1943), Un giorno a New York (1949), Cantando sotto la pioggia (1952), Gigi (1958)… a riempire i teatri e le sale di mezzo mondo.

Prima dell’avvento dell’attrice inglese Julie Andrews, che fece il botto con gli ultimi due film citati all’inizio, era stato il musical West Side Story a far rivivere, in chiave moderna, la tragedia di Romeo e Giulietta, storia che inevitabilmente faceva piangere tutto il pubblico presente.

La trama in breve: in un quartiere di New York, l’Upper West Side di Manhattan, si scontrano quotidianamente due gang rivali (i Jets, nativi bianchi e gli Sharks, immigrati portoricani): conosciamo bene i meccanismi di associazione (rituali di iniziazione, gerarchie…) e le relative dinamiche (controllo del territorio, traffici illeciti vari…). Ma durante un ballo cui partecipano i membri (maschili e femminili) delle due bande, capita che uno dei fondatori dei Jets, Tony (che sta meditando di ritirarsi, stufo di tanta violenza) si innamori della sorella del capo degli Sharks, Maria (che non ha mai veramente approvato le iniziative del fratello). Da lì la storia si dipana tra dialoghi esilaranti e balli scatenati, ma anche con propositi aggressivi e incontrollati, nonché minacce di vendetta neanche troppo velate.

Non sto a raccontare tutto l’intreccio del musical e tanto meno il finale, ma la storia, sappiamo già, non finisce bene.

Fin dai tempi dell’intramontabile William Shakespeare, l’avventura disperata dei due giovani ispira tenerezza, speranza, partecipazione: vorremmo tanto che la loro storia si risolvesse con un lieto fine, ma lungo lo sviluppo della narrazione diventa evidente che non sarà così. Le cose della vita non sempre si concludono come vorremmo, e tutto ciò ci fa sentire frustrati ed impotenti.

Che dire della musica di questo film? Beh, penso che meriti un discorso a parte. La creazione artistica è di un certo Leonard Bernstein, che già da tempo si era imposto all’attenzione del grande pubblico mondiale come uno dei più grandi compositori, direttori d’orchestra, pianisti del secolo.

Si dice che fosse un maestro eclettico, non solo fondamentale interprete della tradizione classica ma anche “sensibile al folklore americano”: forse i brani da lui ideati per quest’opera cinematografica ne sono il più valido esempio: si spazia da pezzi romantici quali la famosissima Maria, The balcony scene, Tonight, Somewhere, I feel pretty, A boy like that… a quelli legati alle scene di ballo quali Jet song; The dance at the gym; Gee, Officer Krupke; The rumble, fino all’iconica America.

Bernstein mette in musica a modo suo, rivoluzionando tutti gli schemi musicali, i temi fondamentali della pellicola: non più un’America terra di conquista e di espansione (verso l’ovest), ma il paese che dovrebbe accogliere, integrare per diventare il luogo multi-etnico dove si realizzerà il sogno di tutti. Purtroppo non è andata completamente così: dietro evidenti aspetti di benessere, permangono luoghi comuni, pregiudizi, per non dire vero e proprio razzismo, ancora latenti e che spesso emergono in maniera eclatante.

Questa domenica non abbiamo parlato di rock. Ma, come ho detto ormai tante volte, ci possiamo sentire realizzati nel nostro intimo anche ascoltando musica varia (classica, jazz, blues, soul…) purché di qualità. Quella di questa colonna sonora lo è certamente, come succede quasi sempre con le composizioni dei grandi della musica da film (in primis Ennio Morricone, poi John Williams, Hans Zimmer, Nino Rota…).

Buona Domenica a tutti!

PS1: West Side Story vinse dieci Premi Oscar nel 1962 (unico musical finora a raggiungere questo risultato): uno andò, neanche a dirlo, alla Migliore colonna sonora per un film musicale, a Saul Chaplin, Johnny Green, Sid Ramin, Irwin Kostal. Non al compositore Leonard Bernstein quindi, che aveva ideato le musiche per lo spettacolo teatrale già nel 1957, ma all’adattamento dei brani arrangiato dai quattro direttori musicali.

PS2: Nel 2021 è uscito un remake di questa straordinaria pellicola, con regia di Steven Spielberg: non l’ho ancora visto, ma, all’ascolto le cover delle canzoni non sembrano male!

PS3: Se volete avere una vaga idea della complessa personalità di Leonard Bernstein, non perdete il film “Maestro” di e con Bradley Cooper (2023).

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