PICCOLE STORIE DI SPORT,VERSO L’OLIMPIADE-ALI, UNA FRECCIA IN PIU’PER LA VELOCITA’ITALIANA

DI VITTORIO PENTIMALLI

Chituru Ali è la nuova realtà della velocità italiana.

Dopo Jacobs c’è lui, e con la progressione di tempi fantastica messa a segno quest’anno, Chituru si candida per un posto in finale nella gara regina dell’atletica, i 100 metri, la gara degli uomini più veloci del pianeta. La gara che consuma tutta l’emozione del mondo in qualcosa meno di 10 secondi.

Chituru è nato a Como nel 99, da padre ghanese e madre nigeriana e a tre anni è stato adottato da una famiglia italiana. Cresciuto ad Albate, periferia sud di Como, da ragazzino Chituru, come tanti, giocava a pallone in oratorio e sperava di diventare un calciatore forte.

Poi qualcuno si è accorto che quel ragazzetto molto più alto dei suoi coetanei correva veramente forte e, per fortuna, gli ha fatto provare l’atletica.

Ha iniziato con gli ostacoli, 60 e 110, ma da quando è passato sotto le cure di un vero allenatore professionista ha cominciato a cimentarsi con la velocità pura.

La sua è stata una crescita costante, fino a esplodere a livello internazionale nel 2022, arrivando a correre i 100 in 10.12 e andando in finale agli europei vinti da Marcell (vittoria sofferta di una stagione in cui erano già cominciati i problemi fisici). L’anno scorso aspettavamo Chituru alla definitiva consacrazione tra i grandi dell’atletica italiana ma un grave infortunio gli ha compromesso la stagione.

Quest’anno Ali è tornato alla grande sin dalla stagione indoor, ma è in questo inizio di stagione outdoor che è esploso nei risultati e nella considerazione di media.

Ottimi meeting e poi agli Europei romani di due settimane fa, lo splendido secondo posto dietro a Jacobs; infine, solo pochi giorni fa, il fantastico 9.96, sempre dietro a Jacobs, in un meeting in Finlandia.

Mai come quest’anno la gara dei 100 sarà incerta e difficile. Nei ranking di quest’anno ci sono ben 19 atleti che sono riusciti a scendere sotto i 10 netti, con il keniano Omanayala che guida questa classifica col suo 9.79 (in altura). Per vincere ci vorrà un tempo stratosferico, che vedremo se il nuovo Jacobs “americano” ha nelle gambe. Sarà difficilissimo per tutti non solo vincere o andare sul podio, ma anche solo per andare in finale bisognerà correre abbondantemente sotto i 10.

Ali, con i suoi 2 metri di altezza e il suo fisico da paura, se la gioca senz’altro e avrà tutta Como e tutta Italia che farà il tifo per lui.

Umanamente la sua è una bella storia di un ragazzo cresciuto bene in una famiglia e in un ambiente che gli hanno dato affetto e supporto; dal punto di vista sportivo speriamo che possa diventare una storia magnifica, in parte lo è già, ma ci sono ottime premesse…

In ogni caso una staffetta con Patta, Jacobs, Tortu e Ali (e mi dispiace per i ragazzi che restano fuori) ha tutte le carte in regola per dare un nuovo dispiacere ad americani, inglesi e giamaicani.

Incrociamo le dita e divertiamoci.

UNA CANZONE PARTICOLARE…-VAI PURE PER LA TUA STRADA

DI CARLO MASETTI

Riprendendo le fila di alcune considerazioni degli ultimi racconti domenicali mi è venuta in mente la canzone particolare di oggi.

Abbiamo sottolineato, a proposito del film “The Commitments”, quanto sia facile arrivare a screzi e litigi tra i membri di una band per le ragioni più varie: desiderio di leadership, contrasti, incomprensioni, prevaricazioni, gelosie, tradimenti… con conseguente mancanza di dialogo, collaborazione, affiatamento. Di solito finisce, nei casi estremi, addirittura con lo scioglimento del gruppo o, più semplicemente, con l’abbandono del musicista che non si ritrova. Quest’ultimo è il motivo dei frequenti cambi di formazione, il che di solito non è mai un buon segno.

Oggi vorrei parlare di una band piuttosto interessante e che nel tempo ha attraversato proprio queste vicissitudini: i FLEETWOOD MAC. Il nucleo originario nasce in Inghilterra come costola dei Bluesbreakers del leggendario John Mayall, il padre di tanti musicisti famosi (Eric Clapton in primis, poi Jack Bruce, Peter Green, Mick Taylor…) che in seguito hanno lasciato ed hanno seguito i loro percorsi.

Nel caso del batterista Mick Fleetwood e del bassista John McVie, la ragione principale sembra sia stata il troppo blues/rock del capostipite, meglio meno blues e più rock (nota1: esattamente il contrario delle motivazioni dell’abbandono di Clapton che ha sempre dichiarato di amare tanto il blues a scapito del rock).

Fleetwood e McVie si staccano e, insieme ad un geniale chitarrista, tale Peter Green, formano il primo nucleo della band che prende nome proprio dai cognomi dei due membri fondatori (nota2: Mac è di solito chiamato amichevolmente chi ha un cognome scozzese come Paul McCartney, Amy Macdonald… e appunto John McVie).

Dopo i primi successi Green lascia e si deve quindi ricominciare tutto daccapo. Non voglio ripercorrere l’intera storia, vorrei arrivare alla formazione che è da tutti ritenuta la migliore di sempre: Mick Fleetwood-batteria, John McVie-basso, Lindsey Buckingham-chitarra e due cantanti Stevie Nicks e Christine McVie. I due fondatori sono infatti sbarcati in America (California tanto per cambiare) ed hanno preso a bordo la coppia statunitense oltre che da tempo la moglie di John.

Questa formazione fa uscire nel periodo 1975-1979 tre album fondamentali: l’omonimo “Fleetwood Mac”, “Rumors” e “Tusk”. Forse nella sua evoluzione la band è passata dal blues/rock al rock al rock/pop, fatto sta che questi cinque membri diventano in breve tempo superstars, con vendite miliardarie. Ma?

Ecco, succede che la coppia John-Christine McVie divorzia dopo otto anni di matrimonio; anche Mick Fleetwood sta affrontando la separazione con la moglie Jenny Boyd; infine, fatto più grave di tutti, il duo americano Nicks-Buckingham, in grande amore per tanti anni, decide appunto che ciascuno andrà per la sua strada.

Stevie scrive una bellissima canzone “Dreams” in cui dice gentilmente al partner che “… se vuole la sua libertà non può certo fermarlo, ma di stare molto attento alla solitudine in cui si troverà quando si renderà conto di quello che aveva e che ora ha perso…”.

Lindsey, parimenti, risponde in maniera più ruvida con il brano “Go your own way” in cui fa presente che “… non può cambiare le cose che sente…” ed invita la compagna ad “ … andare pure per la sua strada visto che, a causa delle sue diverse avventure amorose, non può più certo continuare a condividere il suo mondo…”.

(nota3: paradossalmente i due pezzi suddetti, il botta e risposta della grande rottura, compaiono nello stesso album “Rumours” che forse in questo caso potremmo tradurre prima con “avvisaglie” poi con “voci di corridoio, pettegolezzi”.

[Gli stessi membri della band affermarono candidamente che la migliore musica dei Feetwood Mac veniva fuori proprio nei momenti di massima tensione tra di loro, in modo che “il risultato finale fosse superiore alla somma delle parti”].

Il gruppo si prende poi una pausa, per non voler dire che si scioglie e questa memorabile formazione resiste così fino al 1988).

Che cosa resta di una SEPARAZIONE tra due persone? Sicuramente un grande rimpianto per quello che è stato e che poteva andare diversamente. È un momento doloroso per tutte e due gli individui in gioco, tanto più se sono coinvolti anche dei figli. Mi sento di dire che non è mai tutta colpa dell’uno o dell’altro: se ciascuno facesse la sua parte di autoanalisi dovrebbe ammettere di aver commesso una buona dose di errori. Ma è difficile che si accetti tutto ciò, è molto più semplice/comodo chiudersi nell’amor proprio/rancore, spesso interrompendo il pur minimo rapporto.

Buona Domenica a tutti!

PS1: Delle due canzoni dei Fleetwood Mac esaminate oggi segnalo la versione di “Dreams” eseguita dal gruppo irlandese Corrs (già citati in un precedente racconto) e quella di “Go your own way” ad opera dei Cranberries, altra band irlandese, bella tosta (che ho avuto modo di apprezzare in concerto a San Siro come spalla dei Rolling Stones: purtroppo la bella e brava cantante, Dolores O’Riordan, è mancata nel 2018, lasciando tutti interdetti, sempre a proposito di separazione finale).

PS2: per oggi direi “no further comments”, il racconto è già bello lungo così!

MUSICA IN SCENA-UN BALLERINO COSI’…

DI CARLO MASETTI

Questa domenica il racconto è dedicato certamente ai film ed alle colonne sonore, ma soprattutto ad un attore che ha reso famosi gli uni e le altre. Andiamo con ordine.

Alla fine degli anni ’70 la DISCO MUSIC è un genere musicale già in voga da qualche tempo (i critici sostengono che sia nata all’inizio di quel decennio con artiste come Gloria Gaynor, Patti LaBelle, Donna Summer…), ma forse sta già iniziando la sua fase di declino.

Avviene tuttavia un fatto eclatante: nelle sale cinematografiche americane escono due film davvero fondamentali (almeno da questo punto di vista): “Saturday Night Fever” (La febbre del sabato sera) (1977, regista John Badham) e “Grease” (Brillantina) (1978, regista Randal Kleiser). La cosiddetta “disco era” esplode di nuovo e viene definitivamente consacrata con grande vigore.

Si dà il caso (ma un caso proprio non è) che il protagonista dei due film (Tony Manero per il primo e Danny Zuko per il secondo) sia sempre lo stesso attore: un certo JOHN TRAVOLTA, che con queste due opere cinematografiche raggiunge una fama planetaria.

Travolta aveva fatto la gavetta e una certa esperienza calcando le scene dei teatri di Broadway e in alcune pellicole girate a Los Angeles, ma quando a soli 22 anni viene scelto come ballerino-cantante per i film suddetti il botto per lui è davvero enorme. Credo che non esista una discoteca al mondo che non abbia suonato fino alla nausea le canzoni delle due colonne sonore e non abbia fatto ballare giovani (e pure meno giovani nonché perfino i diversamente giovani) fino alle ore piccole. Scuole di danza che insegnano i passi dei vari balli nascono ovunque, tutti sono contagiati dall’atmosfera luccicante e trasgressiva di questo genere musicale.

Il personaggio di Travolta nei due film sostanzialmente è lo stesso: nel primo caso Tony Manero è un giovane proletario, senza arte né parte, che cerca il suo futuro apparentemente senza poter uscire dai quartieri di periferia di New York. Questa sua condizione è evidente fin dalle prime scene, quando lo si vede camminare per le strade della sua città mentre si sentono le strofe del brano “Stayin’ alive” (cioè sopravvivere).

Travolta-Tony Manero si sente veramente una figura importante solo quando scende in pista nella discoteca della sua zona e dà libero sfogo a balli travolgenti con passi di danza e movenze davvero mai visti.

Nel secondo film le scene si spostano a Los Angeles: Travolta-Danny Zuko è il capo della gang dei T-Birds, i fanatici di quel modello di auto della Ford, la Thunderbird appunto (nota come la vettura sportiva più prodotta di tutti i tempi), che scorrazzano per la scuola, per i campi sportivi e sulle strade della città con i loro giubbotti di pelle nera, vanto del gruppo.

In entrambe le opere il protagonista si sente un vero “duro”, un macho (italo-)americano amato da tutte le donne (“the chicks”, le pollastrelle) e che si può permettere di prenderle e lasciarle quando vuole.

Ma in realtà non è proprio così: appena una ragazza lo respinge (per non dire che lo rifiuta) oppure lo fa innamorare (facendo cadere il suo mito di super-fusto) Tony (o Zuko che sia) è perso!

(Guardando i video che vi propongo, soprattutto quello relativo al brano “Summer nights”, Anto ed io consideravamo di quanto fossero marcate, per l’abbigliamento e i rispettivi atteggiamenti, le differenziazioni fra i due sessi e di come, a partire da David Bowie in poi, questo confine sia sfumato fino a giungere all’evidente fluidità di oggi).

Così come la disco music stava iniziando a tramontare prima del rilancio nei due film, così accadde per i BEE GEES, gruppo che rinacque a seguito di queste colonne sonore. Sono loro, i fratelli Gibb (Barry, Robin, Maurice) che nella prima pellicola compongono 5-6 canzoni (Night fever, How deep is your love, If I can’t have you, More than a woman, You should be dancing, oltre alla già citata Stayin’ alive), rispolverando alla grande il falsetto nel canto e diventando a loro volta superstar. La prima colonna sonora vende infatti 40 milioni di dischi ed è tuttora la musica da film con il maggior incasso mondiale.

La colonna sonora di Grease invece non è dei tre fratelloni, ma non c’è dubbio che il riferimento sono ancora loro anche per queste musiche, cantate dal Cast del film (John Travolta, Olivia Newton-John, Stockard Channing, Jeff Conaway…) e dal gruppo Sha-Na-Na. In questo caso i brani che rimangono indimenticabili sono: Summer nights, Grease, Hopelessly devoted to you, Sandy, Look at me I’m Sandra Dee, Greased lightning, Rock‘n’Roll is here to stay, Born to hand jive…)

Concludendo: la disco music è così. Può piacere o no, ma è innegabile che ascoltandola è davvero molto difficile rimanere fermi, non dico alla scrivania, ma nemmeno al tavolino, su una sedia o su uno strapuntino!

Buona Domenica a tutti!

PS1: Dopo questi film, John Travolta ha continuato la sua carriera artistica sicuramente di grandissimo successo. È stato sposato una sola volta con l’attrice Kelly Preston, con un matrimonio durato quasi trent’anni (non capita spesso a Hollywood!). Kelly è mancata nel 2020, a soli 57 anni, per un tumore al seno, malattia che colpisce purtroppo tantissime donne. Il medesimo problema è capitato a Olivia Newton-John che a sua volta non c’è più dal 2022 (nel mondo dello show business altre artiste sono morte per lo stesso motivo: la fotografa-musicista Linda McCartney nel 1998 a 56 anni, la cantante Sarah Harding nel 2021 a 39 anni, il soprano Patricia Janeckova nel 2023 a 25 anni…, mentre per fortuna molte altre, affrontato il tumore nelle fasi iniziali, sono sopravvissute: Carly Simon, Sheryl Crow, Melissa Etheridge, Anastacia, Kylie Minogue…).

PS2: avendo un fratello, Riccardo, primario senologo-oncologo, non posso non citare, a proposito di questo doloroso argomento, lo straordinario lavoro di prevenzione e di cura da lui svolto con la Fondazione Komen Italia e l’Ospedale Gemelli di Roma. La manifestazione (sportiva) che tutti conoscono al riguardo è la “Race for the Cure”, la mini-maratona che quest’anno a Roma, per l’anniversario dei 25 anni, ha visto sfilare 150.000 partecipanti davanti al nostro Presidente Sergio Mattarella (pettorale n.1) e i suoi Corazzieri. Non esiste al mondo un record simile per nessuna manifestazione di beneficenza. Fantastico Ricky!

GIANMARCO TAMBERI, L’ALTRA FACCIA DELLO SPORT

DI IRENE GIRONI CARNEVALE

Gianmarco Tamberi è il rovescio di Jannik Sinner, l’altra faccia dello sport in un certo senso. E all’indomani dell’impresa dello Stadio Olimpico a 2,37 dopo due salti falliti a 2,26, è un susseguirsi di commenti sul suo modo “eccessivo” di festeggiare e di stare in pista.

La tolleranza è qualità sempre più rara, a tratti introvabile e pur piacendo o meno, secondo il mio modestissimo parere, nessuno di noi può sapere cosa muove Gimbo in quelle sue esibizioni pirotecniche post gara. Anzi, mi meraviglio che qualcuno laureato all’Università del web non abbia già insinuato che dietro ci sia un problema di autismo o una patologia di qualsivoglia genere.

Il punto è che accettare la diversità, qualsiai tipo di diversità, sembra sempre più difficile e lo dimostra anche qualche plateale risultato elettorale, mentre la società, per essere tale, dovrebbe essere sempre più rispettosa e inclusiva valutando la diversità per quello che è: una ricchezza.

Cosa pensereste se fossimo vestiti tutti uguali, mangiassimo tutti solo le stesse cose, facessimo tutti lo stesso lavoro e guardassimo sempre le stesse trasmissioni?

Io sono felice che nel panorama sportivo italiano e non solo ci siano i Sinner, i Tamberi, i Simonelli, i Crippa, le Egonu e le Dosso, anche a me non piace quando si spaccano o si fanno volare le racchette su un campo di tennis, ma tutto fa parte della vita e del mondo, del rispetto di ciascuna individualità.

E a proposito di Gimbo mi piace ricordare questo momento delle Olimpiadi di Tokio 2020, disputate nel 2021, quando i due atleti preferirono un ex-aequo invece di continuare a sfidarsi su chi fosse più bravo

MUSICA IN SCENA-A BAND IS A BAND, RIGHT?

DI CARLO MASETTI

Come si fa a mettere in piedi un gruppo musicale? Bella domanda. Se ci fosse una risposta univoca, avremmo 4 miliardi di band (cioè la metà della popolazione mondiale, perché servono almeno due artisti altrimenti parliamo di un solista!). I Beatles sono nati quando si sono conosciuti John Lennon e Paul McCartney, gli Stones con Mick Jagger e Keith Richards, i CSN&Y quando finalmente hanno deciso di collaborare i quattro Moschettieri della West Coast…

Ma visto che in questo blog stiamo parlando di film e di colonne sonore, allora dobbiamo trovare la pellicola giusta per questa occasione. E in effetti ecco quella che mi sembra la più adatta: THE COMMITMENTS.

Film del 1991, regista Alan Parker, sceneggiatore Roddy Doyle che è anche l’autore dell’omonimo libro.

Siamo nell’Irlanda della metà degli anni ’80, per la precisione a Dublino: nei quartieri proletari della capitale non c’è lavoro, non ci sono tante possibilità per i giovani. Si vive per le strade di quartiere o meglio nei pub, quasi sempre davanti a una “pint of Guinness”, una tira l’altra. La musica irlandese però è da sempre una via d’uscita accattivante, un modo per affermarsi e uscire dal vicolo cieco.

La tradizione irlandese in questo senso è nota in tutto il pianeta: ci sono gruppi che ce l’hanno fatta, non sono secondi a nessuno al mondo: Chieftains, Clannad, Pogues, Houthouse Flowers, a finire con… Cranberries e soprattutto U2.

Il protagonista del film, Jimmy Rabbitte, decide quindi che la sua vita sarà dedicata a diventare il manager di un gruppo di successo. Ha in mente un solo criterio guida: la band dovrà suonare esclusivamente musica SOUL (perché il suo idolo da sempre è Wilson Pickett).

Ma c’è anche un altro motivo (forse più sociologico) per questa sua idea e il giovane la spiega bene:

“…Do you not get it, lads? The Irish are the blacks of Europe. And Dubliners are the blacks of Ireland. And the Northside Dubliners are the blacks of Dublin. So say it once, say it loud: I’m black and I’m proud!…”

(Ragazzi, ma non capite? Gli Irlandesi sono i neri d’Europa. E i Dublinesi sono i neri d’Irlanda. E i Dublinesi della parte nord sono i neri di Dublino. Quindi ditelo una volta per tutte, urlatelo forte: sono nero e sono davvero molto orgoglioso!…)

Con un annuncio sul giornale Jimmy diffonde la notizia ed inizia a selezionare cantanti e musicisti. Si svolgono le prime prove. I prescelti, un cantante, tre coriste, due chitarristi, bassista, tastierista, batterista e una sezione fiati (sassofono e tromba, come nella migliore tradizione del genere soul), sembrano affiatarsi seduta dopo seduta. Sono pronti per il loro primo evento pubblico, alla presenza dei principali discografici e critici musicali della città. Chissà, è possibile che al momento giusto arrivi e si unisca anche l’amata star americana (che è in tour da quelle parti)?

Il concerto è fantastico, una hit dietro l’altra (da cui la strepitosa colonna sonora: Mustang Sally; Take me to the river; Chain of fouls; Dark end of the street; Try a little tenderness; In the midnight hour; Bye bye baby…), tutto sembra pronto per un meritato successo nazionale. Che succede? Succede che, come in alcune delle migliori band mondiali, iniziano i dissidi interni, i dissapori, le gelosie, le ripicche, le piccinerie pur di emergere singolarmente e non darla vinta agli altri. Succede quindi l’inevitabile […spoiler?].

Il film è molto divertente, ironico, fitto di dialoghi strafottenti, piuttosto sboccati (tanto da essere stato più volte censurato in vari paesi, soprattutto per le conversazioni delle ragazze!). Spero che non l’abbiate perso…

Buona Domenica a tutti!

PS1- IL TITOLO DEL FILM- In inglese il sostantivo “commitment” significa impegno, attaccamento, ma anche serietà. La mia interpretazione del titolo “The Commitments” è dunque “gli impegni”, aggiungerei quelli “seri” perché per comporre e suonare musica di qualità è necessaria, tanta dedizione, tanta continuità, tanta fatica …

L’articolo “The”, per stessa ammissione degli interessati, rende il gruppo musicale in formazione una vera band riconosciuta, come The Beatles, The Rolling Stones, The Who, The Doors, The Dubliners…

PS2- LA COLONNA SONORA- Siccome non si finisce mai di imparare nella vita, vi informo che la colonna sonora del film viene citata tra gli esempi di musica diegetica, (“diegetic music”), cioè: “quella musica che proviene da una fonte sonora presente e ben identificabile all’interno dell’inquadratura o della scena: una radio, una televisione, un giradischi, uno strumento musicale, un brano eseguito al momento… In questo modo, il regista ci vuole suggerire il valore assoluto che il sonoro (le canzoni della band suonate dal vivo nel caso specifico) ha nella narrazione del film…”

Per musica extradiegetica si intende invece “quella musica che funge da discorso, da commento, da amplificazione drammatica e la cui fonte non proviene dall’interno della scena ed è quindi da considerarsi come un accompagnamento esterno…”. Compris?

PS3- GLI ATTORI- I protagonisti del film sono quasi tutti veri musicisti alle prime armi. Alcuni però saranno destinati alla fama imperitura. Una serie di esempi?

Andrew Strong (il biondino sedicenne all’epoca del film) diventerà un apprezzatissimo cantante che ha collaborato a lungo con artisti internazionali quali Elton John, Prince, Lenny Kravitz, Bryan Adams, Rolling Stones…

Glen Hansard (chitarrista di strada a Dublino) sarà in seguito il protagonista del film “Once” del regista John Carney, vincendo addirittura un Oscar per la miglior canzone originale con il brano “Falling slowly”.

I Corrs (i quattro fratelli Jim, Sharon, Caroline e Andrea) diventeranno un gruppo folk/rock irlandese noto proprio a seguito dei provini del film proposto oggi, con vendite che ormai superano i dieci milioni di dischi!

L’idea di sfondare come manager musicale non è proprio male, dopo tutto!

MUSICA IN SCENA- LA SCUOLA DEI PICCOLI (DAVVERO GRANDI!)

DI CARLO MASETTI

Scena 3, inquadratura, ripresa, ciak… si gira!

Dopo “Storie di NON SOLO Rock” (scena 1) e “Una canzone particolare…” (scena 2), su suggerimento della mia cara amica Irene Gironi Carnevale, inizia oggi una nuova rubrica domenicale (scena 3) con il titolo che potete leggere tra virgolette nella prima riga di questo post.

Si tratterà di brevi di racconti riguardanti essenzialmente colonne sonore di film o di pièce teatrali, che hanno fatto la storia di vari generi musicali, e che ci stanno a cuore continuando ad emozionarci.

Possibilmente musica rock, ma si può spaziare con ogni genere purché di qualità (naturalmente contributi da parte di esperti, non esperti, amici, parenti, gente simpatica, buontemponi… (ma non perditempo, né maleducati!) sono molto ben accetti).

Se, come è giusto che sia, iniziamo con il genere ROCK con tutti i suoi svariati sottogeneri, in questo caso allora dobbiamo partire dai FONDAMENTALI: ricordare cioè che il rock si comincia ad amare e coltivare sin da piccoli (così è successo anche al sottoscritto) e non dimenticare mai il passato (remoto o prossimo) (sempre il sottoscritto annovera tra i suoi punti luminosi di riferimento Robert Johnson, Bessie Smith, Elvis, Little Richard, i Platters, gli Everly Brothers, Bob Dylan, i Byrds, fino ad arrivare ai Beatles…).

In poche parole bisogna ritornare a scuola e cominciare a “studiare” (senza spaventarsi alla sola pronuncia di questa parola!).

Dunque per riassumere tutti questi concetti con un esempio direi perfetto, consideriamo le canzoni di un film che sembra fatto a proposito: SCHOOL OF ROCK (2003, regista Richard Linklater).

Giusto per introdurre la trama di questa pellicola, vi anticipo che i protagonisti sono i ragazzini di una scuola elementare di un quartiere bene nei dintorni di New York, portati per la musica (seguono l’apposito corso offerto come attività extra-curriculare), che scoprono il rock grazie a Dewey, un loro insegnante supplente (un imbroglioncello che nasconde qualche piccolo segreto), il quale non tarda molto a spiegare loro regole e riti vari di questo mondo.

Nella colonna sonora del film è riassunto un concentrato di diversi generi musicali: Hard rock; Punk; Heavy metal; Blues rock; Psychedelic rock; Acid rock; Pop rock; Garage rock; Glam rock; Southern rock…

Il Gotha delle band coinvolte (come esempi per gli artisti in erba) è pazzesco: Led Zeppelin, Who; Clash, Ramones; Black Sabbath, Metallica; Cream; Doors, Velvet Underground; Kiss, Darkness; Black Keys; T-Rex; No Vacancy e naturalmente AC/DC, nonché School of Rock (il gruppo dei giovanissimi musicisti del film).

Anche alcuni artisti famosi sono presenti quali: David Bowie, Iggy Pop, Ozzie Osbourne, Alice Cooper, Stevie Nicks, Jack Black (che interpreta l’insegnante supplente).

Di pari passo con l’apprendimento dei rudimenti della musica, i piccoli imparano ad amare questo teacher un po’ esibizionista, sballato, cazzone, che però li coinvolge con il suo entusiasmo e i suoi editti stralunati. Grazie ad una sua iniziativa, parteciperanno infine, all’insaputa di tutti (direttrice, altri insegnanti, genitori…) alla “Battle of the Bands”, cioè una gara tra gruppi musicali con un premio finale di $20.000 (che, tra l’altro, potrebbero contribuire a risolvere i problemi dello squattrinato insegnante!). Ma devono prima sapere tutto sulla storia e sui grandi del rock, e poi imparare a suonare i pezzi giusti (non solo testi e musica, ma anche feeling, mood, presenza scenica, trucchi vari…).

Una citazione dal film che forse riassume tutto quanto detto finora? Ecco la preghiera che Dewey recita in classe con i ragazzi e che fa più o meno così:

“God of Rock, thank you for this chance to kick ass. We are your humble servants. Please give us the power to blow people’s minds with our high voltage rock. In your name, we pray. Amen”.

(Dio del Rock, grazie per questa opportunità di spakkare. Noi siamo i tuoi umili servitori. Per favore dacci la forza di far esplodere il cervello dei nostri sostenitori con un rock ad altissima tensione. Preghiamo nel tuo nome. Amen)

Buona Domenica a tutti!

PS: recentemente ho perso i seguenti concerti: AC/DC (25 maggio, Reggio Emilia, RCF Arena), Metallica (29 maggio, Milano I-Days, Ippodromo), Bruce (1 e 3 giugno, Milano, Stadio di San Siro), Eric Clapton (2 giugno, Lucca Summer Festival).

Già alcuni mi hanno detto (scritto) che sono vecchio (vero), che sto perdendo colpi preziosi (anche) e che per tutto ciò ora mi toglieranno l’amicizia su FB (e forse pure il saluto!). Posso solo aggiungere che mi dispiace tanto non aver partecipato: infatti la band australiana, quella californiana, il super Boss e il caro Slowhand “spakkano di brutto” (siamo o no nel mondo dell’hard-heavy-blues-rock?) e chi non li apprezza… tanti saluti e ciao!

PS2: mi consolo con i piccoli artisti in erba che conosco (Filippo, Miriam, Cosmo, Bianca, Leo…): stanno crescendo e a loro penso spesso perché il nostro futuro (rock, e non solo) sia più luminoso. “Long live rock” (lo dicono gli Who e pure Dewey lo scatenato insegnante supplente del film, quindi…)!