‘LA DONNA DEGLI ALBERI’

Il nuovo romanzo di Lorenzo Marone.

Di TITTI DE SIMEIS

Lei è una donna in fuga, vuole lasciarsi alle spalle una vita e cerca un luogo speciale in cui ritrovare se stessa, un luogo che possa ridarle forza nel ricostruirsi: torna alla vecchia baita in montagna, quella della sua infanzia, un rifugio lontano da tutti che lei sceglie per vivere in una dimensione completamente nuova. E la montagna intorno con le sue intemperanze, le regole dettate dalla Natura, i tempi dell’istinto animale che la popola, i percorsi tra gli alberi e le leggi non più umane da rispettare, le sarà di sostegno, le sarà compagna e persino amica nei momenti di paura e di profonda solitudine. Una storia affascinante. Una storia immensa ed intima, in cui la protagonista si racconta, passo dopo passo, nel suo percorso difficile e personalissimo. Una storia particolare, narrata con delicatissima sensibilità e con assoluta conoscenza dell’animo femminile, dei suoi inciampi, delle sue ferite e della sua innata forza, sprigionata attraverso una dolcezza senza eguali. E di dolcezza sono intense le pagine. E di inquadrature mozzafiato, piccoli fotogrammi di un film senza sonoro, in cui le voci della Natura si intrecciano ai pensieri della protagonista che dalla Natura, appunto, impara a lasciarsi andare, ad arrendersi agli eventi senza opporsi. Così come vede fare agli animali, ai fiori, al più piccolo essere che le vive intorno; al vento, alle tempeste che sconvolgono i boschi, al bocciolo testardo che sfida il ghiaccio più gelido per sbucare alla luce del sole. Lei è una donna che si attraversa, chiedendo la vita alla vita intorno a sé, a quella elementare degli eventi naturali per sentirsi, di nuovo, parte di un tutto e conquistare un equilibrio, una nuova se stessa. Le sono accanto personaggi satelliti  che le diverranno amici e la guideranno nel suo viaggio interiore. Personaggi senza un nome proprio come la Rossa, titolare della locanda in paese che la accoglie in confidenze e abbracci nuovi; la Guaritrice, esperta di erbe mediche e ‘sorella’ di notti da cullare e scodelle calde per nutrirsi; l’uomo dal giaccone rosso, detto lo Straniero, con cui impara a respirare l’amore e l’urgenza di dare alla Montagna semi nuovi, forza ed alberi giovani per il suo domani; la Benefattrice, moglie del fattore, che le riempie lo zaino di roba da mangiare e si prende cura delle sue sere smarrite; e, infine, il Cane, inseparabile sostegno, cuscino da stringere e compagno di giochi per tornare bambina. A loro un nome non serve: ciò che conta è quello che ognuno riesce ad essere per lei, quello che può donarle in segno di conforto, di sostegno e di rinascita. Il libro arriva dentro con forza travolgente, sa scuotere, commuovere, avvince, fa sorridere e ci trascina nella struggente bellezza di un mondo che sa regalare luce all’anima. E sa donare la luce della fede, di una fede laica, fuori dai banchi delle chiese ma vicina al cielo più che mai, in una croce grezza sulla cima del Monte, sotto la quale piantare lodi, promesse e ringraziamenti da far scivolare fino a valle. La donna degli alberi ama ciò che è diventata, ciò che di sé è riuscita a salvare, quello che per sé è riuscita a conquistare. La scrittura del romanzo è ricca, pacata, semplice, poetica, musicale, colorata, silenziosa, elegante. È una sinfonia di sensazioni, di attese, di paure, di ricordi, di segreti, di promesse. È vento che soffia, è burrasca, è un ululato lontano, è il muggito di un pascolo, è neve ovattata, è il fresco di un lago d’estate. Ogni pagina è più bella della precedente, ogni pagina si lascia abitare, diventa casa, ricordo, scoperta, rimpianto, odore di resina. Ogni pagina corre verso l’altra, in un susseguirsi di entusiasmo e di nuova ricchezza. Così, fino all’ultima riga. Lorenzo Marone ci ha regalato uno dei libri più belli degli ultimi tempi. Direi un capolavoro, per il quale non ci resta altro che dirgli ‘grazie’.

27 GENNAIO: MEMORANDA

di Titti de Simeis

Come ogni anno. A fine gennaio si commemora la più grande carneficina della Storia. L’eccidio degli ebrei: un popolo contro il quale si sono scagliati i regimi nazisti e fascisti, colpevole solo di far parte di una ‘razza’ da estinguere. E basta. Bambini, donne, uomini, anziani. Senza eccezione. Di fame, di freddo, di follia: dovevano morire. Da allora son trascorsi molti anni ma, ancora oggi, purtroppo o per fortuna, se ne parla. Partono i treni e le settimane della memoria, la programmazione tv è mirata a far conoscere i fatti di un periodo storico atroce. Interviste, film, testimonianze, filmati storici, sopravvissuti. Tutto ruota intorno a questa tragedia. Giusto, educativo. Ma fino a che punto? Il nostro Paese sta vivendo uno dei periodi peggiori, dal punto di vista politico, storico e sociale. Anzi, mi verrebbe da dire che è un periodo senza storia, senza radici politiche, assente di ogni ideale e di ogni valore. Siamo allo sbando, senza punti fermi, stabilità economica e lavoro. Senza certezze. Abbiamo smesso di crescere, di andare avanti, di avere un futuro. Ma anche un presente. Un popolo in queste condizioni ha paura, molta. Nel sottobosco delle nostre fila sta crescendo una generazione che cerca un appiglio, qualcosa in cui credere, e, non trovando nulla, si sta lasciando andare. E in questa situazione di abbandono rischia di essere travolta, inglobata e assorbita da ideologie di cui già si sente il brusio, il vociare sommesso e la sommossa latente. Ideologie che invogliano al potere, nel quale riversare le proprie frustrazioni, al potere degenere che fa sentire forti attraverso il sopruso, alla prepotenza che sfocia in violenza appagante e che ricompensa le menti instabili e le anime in pericolo. Un potere che ha già sterminato abbastanza, ma il cui seme non ha mai smesso di battere. Come ogni follia ideologica, ha mantenuto vivo il respiro, nutrito dal silenzio dell’attesa. Ogni tanto ha fatto capolino, il giusto spazio per ricordarci che c’è. Dunque, siamo proprio sicuri che questo ricordo della Schoah, reiterato da anni ed in modo così accanito sui particolari, sulle immagini più crude e strazianti, valga proprio per tutti come esempio da non seguire? Siamo convinti che il ‘repetita iuvant’, in questo caso non sia, piuttosto, un invito a trovare la strada per una ‘rinascita’? I germi ci sono ed hanno lasciato l’impronta più di una volta, creando panico. Un passato come quello può diventare l’esempio da riportare alla ribalta, come ogni argomento proibito, simbolo di un estremismo che darebbe luce al buio in cui brancolano certe ‘intelligenze’ destinate alla non pronuncia di se stesse e che troverebbero finalmente voce nell’emergere, purtroppo, in quel modo. Stiamo vivendo un momento pericoloso, siamo sotto gli occhi di chi non vede, di chi guarda solo in superficie ed è convinto di avere tutto sotto controllo. O forse aspetta che il controllo lo perdiamo noi. Per legalizzare una certa ‘politica’, una democrazia ormai agonizzante. Le generazioni più giovani non conoscono, non sanno. Vedono per la prima volta quei filmati, ne vivono il terrore per la prima volta. Molti, invece, ne avvertono il fascino, la grandezza e ne assorbono l’ispirazione. Disinneschiamo, dove possibile, il vivaio delle menti pericolanti. Facciamoci interpreti di un presente che non vuole e non deve tornare indietro. Guardiamo quel passato insieme con loro, insegniamo a filtrarlo, induciamoli ad averne paura. Diamo loro il telecomando e invogliamoli a premere ‘off’ quando è troppo, quando acceca, quando spaventa, davvero. Finché decideranno che così non si fa. E non deve farsi, mai più.

VOTO AL SENATO. BUONA FORTUNA A TUTTI NOI.

DI GIOVANNI ANTONIO MASALA

Il voto al Senato ha dimostrato che il Presidente Conte non avrebbe la maggioranza adeguata per poter proseguire nel suo incarico. Al momento, o per senso di responsabilità, o perché costruiscono, o più banalmente per mantenere il lauto stipendio, non e’ escluso l’afflusso di altri voti. Ma c’e’ un ma. Questa situazione sarebbe inaccettabile se non ci fosse la pandemia: se non ci fosse stato un innalzamento esponenziale del debito pubblico, se non vi fosse la necessità di gestire i denari europei, il cui afflusso va tutto a merito della sagace opera ” democristiana ” di Conte. Se ci fossero stati al governo i due sovranisti, non avremmo preso nulla. Ricordo solo agli smemorati, quando i due chiesero di poter fare uno scostamento al 2,4% , bazzecole rispetto ad ora, e ci fu la strenua opposizione di Bruxelles. A proposito del primo governo Conte, ricordo poi che Egli era ” commissariato” dai due vice. Sempre per gli smemorati, ricordo il video dove lui, in mezzo a Di Maio e Salvini, si rivolge al primo chiedendo “posso,” e l’altro seccamente gli dice No! Conte, al contrario, in questi mesi e’stato protagonista; il collante di un sodalizio M5S PD LEU , che erano notoriamente malfidenti l’uno dell’altro. Invece Italia Viva , frutto di un furto di parlamentari eletti nelle liste del PD, ( sarebbe un peccato originale, ed il peccatore dovrebbe star muto) in quanto simbolo del marchese del Grillo ( io so’ io e voi nun siete un ca@@o) , non poteva “legare” per la sua natura di partito personale composto da yesman , al servizio del signorotto, puo’ implodere. Molti hanno criticato Nencini per aver votato all’ultimo minuto. Credo che sia stata una misura precauzionale. Se avesse votato sì subito, c’era il timore fondato della ritorsione di Renzi…. lui ne e’ capace. Credo che la perdita del simbolo PSI, potra’ essere molto importante per il futuro. Marcucci, già ieri ha preso le distanze da Renzi e duramente. Le crepe nel gruppuscolo personale del senatore di Rignano potrebbero esser tali che i senatori sottratti al PD, con l’inganno, torneranno a casa. Dunque, a mio avviso, non c’ e’ che da prendere atto della necessita’ di continuare l’esperienza di governo, portare avanti il piano vaccini, fare la legge elettorale. Se il tempo trascorso sarà tale, anche di eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Ma dopo, dimissioni ed elezioni. Gli italiani sono impazienti … debbono provare il governo sovranista, lo spread a 500, la tempesta finanziaria, l’arrivo della troika, cammuffata come fu con il governo Monti. Perché in Europa i venditori di pesce e caciotte al mercato, non li amano. Buona fortuna a tutti noi.

‘NATA DAL SILENZIO’: MANUELA DAGA

DI TITTI DE SIMEIS

Un percorso intimo e prezioso. Un racconto delicatissimo. Sin dalle prime pagine ci si trova spettatori di una storia molto intensa, un puzzle di immagini in cui il passato ed il presente si incastrano armoniosamente. Una sferzata di emozioni difficili da tenere a bada. Una scrittura incalzante, evocatrice, descrittiva e a tinte decise che lascia, davvero, poca voglia di distrarsi. Manuela ci accoglie nella sua vita, da quando era bambina ad oggi, nel tragitto difficile di figlia ‘nata dal silenzio’ e vissuta tra due correnti  trascinanti con la stessa forza ma tanto distanti: la sua famiglia ed il mondo fuori. Il suo nido caldo, ovattato, affettuoso in cui, però, deve crescere in fretta, in cui si trova di fronte ad un grosso ostacolo: conciliare il suo mondo, fatto di suoni, parole, rumori e musica con quello silenzioso dei suoi genitori. Ma deve, anche, imparare a vivere fuori di casa, a scuola, con i compagni, con la gente che non capisce. Gente pronta ad etichettare, giudicare, pronta a definire ‘diversa’ la sua vita e chi ne fa parte. Così, Manuela inizia a rifugiarsi in se stessa, a fuggire da quella superficialità e trovare la forza nella ‘diversità’ appunto. Perché, come lei stessa scrive: ‘(…) tolta l’etichetta rimane la specificità dell’individuo. E la specificità di un essere non preclude la sua normalità. ‘È vero i miei genitori sono diversi ma è quella la loro normalità. La diversità li rende soltanto individui estremamente unici e speciali ‘.

Gli ‘altri’ guardano ma non vedono, non sanno, non possono capire. Gli adulti hanno parole e sguardi di pietà, i bambini, invece, le puntano il dito contro ‘Tu sei figlia loro, vergognati (…) i tuoi genitori sono diversi dai nostri’.

Un’ostilità enorme, troppo pesante per una bambina, che vorrebbe solo sentirsi accolta, come tutti. Una bambina che si assume la responsabilità di essere adulta contro tempo, per difendere suo padre e sua madre e la sua stessa vita. Una dopo l’altra le delusioni, le paure, il dolore soffocato: un insieme di inciampi che le faranno, però, conquistare un grande valore, ritrovato nel linguaggio insegnatole da piccola. Quel valore si chiama pazienza, ed è una virtù che si è rivelata di fondamentale importanza. Ed è con grande pazienza che Manuela affronterà ogni cambiamento, ogni svolta. Con pazienza e con amore. Come quello che le è stato donato, ma anche quello che lei nutre, eterno, per la sua terra, la Sardegna, madre geografica e punto di forza, di volontà e tenerezza senza eguali. Amore per i ricordi che risuonano pronti ad un abbraccio, ad un canto ristoratore, ad un profumo che riporta antichi sapori. Manuela si immerge in ogni bellezza le sia intorno, negli odori tenaci della campagna, del mare, in un quadro da dipingere, in un pagina da riempire di sé. Nata dal silenzio, un silenzio che le è stato amico, fratello, padre e madre, le ha aperto i suoi segreti e le ha insegnato il rispetto dei grandi valori, ricchezza indefinibile come il suo mondo intorno che accompagnerà sempre, di luce, la sua rinascita.

‘EROE’

DI MASSIMO WERTMULLER

Questa immagine, anche nel suo essere simbolo contro la caccia, postata dai cacciatori toscani che si complimentano pure con questa specie di individuo per ” il suo primo daino”(!), dimostra tante cose. Una di queste è quanto sia nociva la caccia che elimina vite ed ecosistemi, un’altra è che mostra quanto gli animali, in genere, siano più belli dell’essere umano. Vuoi mettere qui la magnificenza di quella splendida creatura che questo mentecatto ha ucciso e la faccia da imbecille di questo sottosviluppato? Quanto serviva di più a questo mondo quella creatura uccisa e quanto invece non serve questo pezzo di vigliacco col fucile? Quanto servivano col loro amore tutti gli Angelo, il grande e bellissimo maremmano ammazzato per gioco, e quanto non servono quelli come quei balordi che l’hanno ucciso? Sempre e comunque no, fortemente no alla caccia, un’attività che ci tiene ancorati alla preistoria, lontani dalla civiltà.

COMPETENZA LEGISLATIVA. PASSATA LA PANDEMIA, RIVEDIAMO LA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE

DI ANTONELLA SODDU

Se c’è una cosa che a questo Paese manca, è una adeguata conoscenza della Costituzione. Proprio quella Costituzione a cui tutti, chi più, chi meno, ricorriamo quando ci fa più comodo azzardando peraltro improvvisate personali interpretazioni. E’ un problema. Soprattutto lo è stato in questo ultimo anno segnato da emergenza sanitaria, economica e politica. In un momento in cui l’unità nazionale doveva esser assicurata, invece si è palesato tutto il negativo carattere di un regionalismo oramai fuori controllo. Un regionalismo caratterizzato più che mai dal colore politico piuttosto che dall’interesse comune che ha finito con il ripercuotersi negativamente sull’intera gestione dell’emergenza. Un regionalismo che non ha evidentemente funzionato e verso il quale è necessario, una volta passata l’emergenza sanitaria, ripensarne l’impianto attuale dato dalla riforma del Titolo V – legge Costituzionale n. 3 18 ottobre 2001. Le Regioni hanno competenze e precise responsabilità in merito a queste nei confronti dei cittadini. In mezzo a questa guerra sanitaria, tutti hanno commesso errori e tutti – chi più chi meno – sono venuti meno alle proprie competenze/responsabilità a causa di un motivo che oggi come oggi si presenta sempre più squallido: quello relativo al tornaconto politico/elettorale. Ogni singolo Presidente di Regione ( meglio cominciare a chiamarli con il loro nome e non con quello americanizzato di Governatore di stati federali ) investito di responsabilità ha preferito defilarsi dall’adottare decisioni drastiche per il bene della collettività. Aldilà di quelle che possono esser le posizioni politiche di ognuno di noi, pro/contro il Governo, perché si possa anche solo provare a comprendere quanto avvenuto nell’ultimo anno, è necessario aver contezza e conoscenza delle competenze che la nostra Costituzione attribuisce alle Regioni in virtù di quello che è il dettato costituzionale. Prima di tutto, la nostra è una forma di Stato pluralista/regionale/autonomista/decentrato. Ne troviamo indicazione nell’Art. 5 ( principi fondamentali ) – “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.” Questo articolo sottolinea il carattere regionale dello Stato italiano, riafferma la natura unitaria e indivisibile della Repubblica e sottolinea l’importanza autonomista – regioni , provincie, comuni acquisiscono il diritto di regolamentare autonomamente alcune materie – e del decentramento amministrativo. Il sistema delle autonomie è disegnato a livelli di governo formati da enti locali in grado di dotarsi di un proprio indirizzo amministrativo e politico finalizzato a soddisfare tutte le esigenze della collettività rappresentata. Prima di proseguire è opportuno ricordare che la riforma federalista della Costituzione – approvata dalla due Camere a maggioranza assoluta e sottoposta poi a Referendum costituzionale ( valido con qualunque % di votanti ) al quale partecipò il 34% degli elettori e il Si prevalse con il 64,4% dei consensi. Il nuovo assetto ha conferito agli enti locali – il Comune rappresenta l’organo più vicino ai cittadini su cui fonda la suddivisione territoriale della Repubblica – autonomia politica, normativa ( la Regione approva leggi; gli enti locali i regolamenti ) amministrativa e finanziaria ( possono definire e applicare propri tributi ) . Quindi, citando sempre il Titolo V – Le Regioni, le Province, i Comuni – art. 114 – “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.” La riforma riscrivendo l’intero Titolo V della Parte Seconda della Costituzione, ha rivoluzionato la ripartizione delle competenze legislative fra Stato e Regioni. L’ art. 117 – quello che definisce la potestà legislativa e le attribuisce. Quello che più fa chiarezza sulle competenze tra Stato e Regioni. “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.” In particolare la riforma ha individuato tre aree di competenza: 1) Art. 117 – comma 2 Cost. – Lo Stato ha competenza legislativa esclusiva in materie quali i rapporti internazionali, la politica economica e monetaria, l’organizzazione dello Stato, la sicurezza, la giustizia, la tutela dell’ambiente. In queste materie le Regioni non hanno alcuna potestà legislativa. 2) Art. 117 – comma 3 Cost. – le Regioni hanno una potestà legislativa concorrente. In sostanza, per le materie comprese in quest’area, lo Stato determina i principi fondamentali e le Regioni possono legiferare nel rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento della Comunità europea e dagli obblighi internazionali e nel rispetto dei suddetti principi fondamentali individuati dalle leggi statali; 3) Art. 117, comma 4 Cost. – in cui confluiscono tutte le materie non espressamente riservate alla legislazione esclusiva dello Stato (prima area) o alla legislazione concorrente Stato-Regioni (seconda area). In queste materie le Regioni hanno una potestà legislativa esclusiva, nel senso che possono legiferare con l’unico vincolo del rispetto della Costituzione, dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali mentre è esclusa possibilità per lo Stato di individuare sia pure solo principi fondamentali. La potestà legislativa concorrente si ha quando lo Stato detta le disposizioni generali e la Regione quelle più di dettaglio. Tra le materie concorrenti su cui lo Stato detta si i principi e linee generali, vi sono Sanità, Istruzione, trasporti ma su queste materie nel dettaglio poi sono le singole Regioni che legiferano pur nel vincolo del rispetto della Costituzione. Ma va tutto bene? Se prima del 2020 potevamo affermare che forse non andava tutto molto bene ora, anche alla luce dei fatti sotto gli occhi di tutti, possiamo affermare che con l’introduzione di questi lunghi elenchi di materie, lo Stato e le Regioni hanno cominciato a “litigare”, rivendicando ciascuno la competenza ad approvare una determinata legge. Peggio ancora, hanno cominciato a rimbalzarsi le responsabilità determinate dal mancato coraggio nell’assumere decisioni di carattere impopolare, ma finalizzate al bene comune. Vediamo tutti cosa sta avvenendo in materia di Sanità – gestione emergenza – scuola e trasporti ; e non si può andare avanti in questo modo insulso.