DI TITTI DE SIMEIS
C’era una volta l’Italia: era il giugno del 1946, si stava tornando a camminare dopo una lunghissima paralisi sociale, iniziavano a riaprirsi le finestre, si riprendeva a pensare al domani. Stanchi, affranti, orfani, invalidi, invecchiati, deportati e poveri. Più che mai. Senza casa, famiglia, e lavoro. Vittime di una strategia folle, di un potere malato al comando sul mondo. Vittime della storia protagonista dell’assurdo, dell’impensabile. Succubi di una violenza senza confini, in un’Europa accartocciata e pestata, annientata. Si stava riaprendo il cielo su una terra bruciata e arida di ogni respiro. Chi era rimasto incolume aveva continuato a costruire dentro di sé, in gran segreto, al lume di un mozzico di candela o sui quaderni nascosti nelle prigioni di filo spinato, il credo della rinascita. L’esercito dei buoni, dietro i contorni di montagne complici, aveva liberato ogni uomo dall’alleato nemico, dalle sbarre di una giustizia spenta e dalla fame di una giustizia vera. Finalmente. Uomini e donne riempivano le piazze e le strade brulicavano di libertà. Senza più condizione, senza più paura. Il nostro Paese aveva urgenza di vivere, di nuovo. Un Paese disperso, a brandelli, avvelenato da una storia assassina.
In quell’estate si andava preparando un nuovo principio, si stava imbastendo la trama di un nuovo racconto, di un libro che avrebbe custodito ed ‘educato’ il nostro futuro. Roma in quei giorni era inquieta, ancora tremante ed insicura, ma forte e decisa. E proprio Roma, nel pieno della sua ‘impazienza’, il 25 giugno di quell’anno accolse la prima seduta dell’Assemblea Costituente: un’assemblea eletta da milioni di italiani e di italiane, alla quale era assegnato il compito di scrivere la nuova Costituzione venuta poi, alla luce, nel dicembre del 1947. Da ogni parte d’Italia si incontravano figure eccellenti della giurisprudenza, della politica e della cultura nel suo significato più alto. Nomi che avrebbero segnato le pagine più emerite della nostra storia. Fra questi, quello di una donna che, come poche altre, per la prima volta entrava in un luogo, fino ad allora, di appannaggio esclusivo degli uomini. Nilde Iotti racconta, così, quei giorni: “Far parte dell’Assemblea Costituente era un privilegio per noi giovani di allora: in essa sedevano uomini di grande prestigio e di forti riferimenti per chi, come noi, era all’inizio del suo percorso nella Repubblica Italiana nascente. Fra questi, Togliatti, Einaudi, Nenni, Orlando, Nitti, Benedetto Croce. Avevamo tutti la sensazione di entrare in un luogo estremamente importante”. Come lei, molti di coloro che vissero in prima persona quel periodo, lo ricordano carico di forti emozioni e di un affascinante senso di ‘solennità’. Unirsi per scrivere un testo portatore di aspettative e di cambiamenti sociali, giuridici e politici, conferiva ad ognuno un carico di responsabilità enorme. Motivati da principi come unione, pacificazione e concordia, tutti i partiti, piccoli e grandi si impegnavano a scrivere, insieme, la nuova legge della nascente Repubblica. I deputati eletti alla Costituente erano quasi tutti completamente slegati dal potere: era gente libera, indipendente e ‘nuova’. Uomini semplici, alcuni dei quali provenienti dalla provincia, persone umili, unite dal rispetto per il Paese, per le umiliazioni subite e dal bisogno urgente di un riscatto morale e sociale. Guadagnavano pochissimo, alcuni di loro non riuscivano a pagarsi da dormire, costretti a scegliere tra il pasto o una camera d’albergo: la diaria era di 1000 lire al giorno e, considerando che un pasto ne costava 500, i conti son presto fatti. Eppure erano fortemente uniti nella volontà, nel bisogno di restituire l’Italia alla sua dignità, di ripagarla di ogni sacrificio sostenuto e di tutte le vite perse per la libertà di chi era sopravvissuto. Nell’Assemblea si distinguevano coloro che avevano attraversato, con l’Italia stessa, le difficoltà della guerra e che miravano ad istituire una ‘carta’ per garantire al Paese una rinascita ed una ripresa giusta, equa per tutti. I Padri Costituenti dimostravano, quindi, riguardo del passato e dell’avvenire, da costruire nuovo per tutti, ricchi o poveri, indistintamente; le donne della Costituente erano impegnate a scardinare le ingiustizie che il regime fascista aveva compiuto contro il genere femminile, auspicando una rivoluzione ed una conquista di spazi sempre più imparziali. Era il momento della ricostruzione materiale e morale di nuove basi per lo Stato italiano. Uno Stato che rinasceva al completo servizio dei cittadini. In un’intervista di qualche anno fa il presidente Oscar Luigi Scalfaro interpreta, semplicemente, dei concetti chiave che guidano alla comprensione di principi fondamentali allora, così come nella nostra attualità: “ Il popolo italiano non aveva casa. Giuridicamente, non aveva casa. La logica dell’Assemblea Costituente, della Costituzione era che un popolo non può vivere se manca una piattaforma che segni i confini dei rapporti di ciascuno, che indichi una ‘casa’ costituzionale, giuridica, amministrativa dove il popolo possa sentirsi sicuro l’uno dell’altro. Nella Costituzione si parla, per la prima volta di ‘cittadini’ e non di ‘sudditi’ come si scriveva nello Statuto Albertino (modificato, negli anni, dal Regime Fascista), e questo elemento rappresenta un rovesciamento radicale del rapporto fra i cittadini e lo Stato all’interno della Repubblica. Non esiste lo Stato senza l’uomo: al primo posto c’è l’uomo con i suoi diritti, con il suo patrimonio di dignità. L’uomo mette al mondo lo Stato che altro non è che il popolo giuridicamente organizzato con diritti, doveri, responsabilità. Lo Stato ha un solo compito: lavorare, operare per l’uomo, il cittadino, il popolo. Questa armonia ‘dal popolo allo Stato, dallo Stato’ all’uomo, era il ‘no’ a qualsiasi dittatura”. Ecco. Erano questi i cardini della cultura attraverso la quale prendeva vita la Politica italiana avvalendosi del sostegno della gente comune che, in un contesto così, si sentiva ben rappresentata e sostenuta, guidata e difesa nella giustizia.
Il cammino da allora in poi, purtroppo, è andato a ritroso, lentamente ed incoscientemente. Ed oggi, stiamo rischiando di distruggere, per sempre, tutto questo. Siamo al punto di non ritorno di una vergogna senza ritegno, siamo all’imbocco di un potere abusato ed abusivo. Cosa significhi è presto detto, le risposte le abbiamo già nelle promesse, negli incentivi, nella corruzione in cambio di un voto: votare è un diritto e un dovere, non una compravendita. Ogni azione che violi questa libertà è da ritenersi illegale e contro la nostra Democrazia, nata dai sacrifici, dalla passione, dalla volontà, dalla rinuncia, dallo studio, dalla forza, dalla serietà, dal rispetto, dalla lotta di un Paese che ha creduto in sé e in chi ne ha ricostruito, testardamente, il futuro. Quel futuro eravamo noi. Il nostro è fuori fuoco, non si coniuga, ha perso il tempo del domani. Non per tutti, però: i pochi che possono permetterselo sono gli stessi che ce lo oscurano, che ci privano delle sue chiavi, che prendono in giro l’intelligenza di chi soccombe per necessità, laddove la ricchezza tiene il gioco ed il potere la alimenta, gli stessi che si burlano di un popolo che piange a denti stretti, per non perdere il poco che gli resta. Quanti fra noi vorrebbero tornare alla Liberazione: dall’inciviltà e falsità politica, dall’apatia, dall’incuria degli ideali, dall’eccidio dei valori, dalla libertà ammanettata, dal tradimento di ogni rispetto umano. Ogni articolo della nostra Costituzione è un testamento d’onore, è una dichiarazione di onestà: leggiamola attentamente. Facciamola nostra. Solo così potremo amarla e, quindi, difenderla. E’ un libro ‘immediato’, comprensibile a tutti, scritto in un linguaggio degno dell’attenzione di illustri linguisti per la ‘limpidezza e accessibilità delle norme costituzionali’ – come afferma Tullio De Mauro – elemento, questo, fondamentale per ‘arrivare’ a chiunque e per ‘dire’ senza intermediari, per aprire ogni strada alla chiarezza senza falsi sensi. Come deve essere. In quegli anni, quando la guerra aveva tolto le scarpe alla vita, gli uomini capirono ciò che era essenziale: convivere in una società capace di giustizia perché quello che era stato non tornasse, mai più.
E’ questa l’essenza del libro. In quegli articoli c’è la coscienza di una Storia che vuole, ancora, respiro. E, quella Storia non cambia e non può cambiare. Abbiamo bisogno di ritrovarci in quelle pagine, di considerare, a distanza di tanti anni, che quella legge è stata scritta per noi. In essa c’è tutta la forza che ci necessita per tornare a credere, per ricominciare a dire ‘no’. Per smettere di farci male e di farcene fare. Siamo avviliti. Non lo meritiamo. Siamo l’eredità di questo grande passato che, davvero, non lo merita.
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