Sanità. Tumore. La storia di Maria.

Di Valeria Rocca

Maria è mia Madre, Sarda, 75 anni è alta 150 cm, suddivisi in egual misura: volontà/coraggio.

Marzo 2016

In seguito a un malore arriviamo al pronto soccorso di un ospedale cittadino. Emocromo 4/12.
Ricoverata in geriatria, due trasfusioni e dopo due giorni la dimettono anche se vomita di continuo e non si regge in piedi. “A casa avrà più stimoli. Vedrà, si sentirà meglio”, dice il medico.
Sospetta ulcera, l’ospedale prenota la gastroscopia.
( stesso ospedale ) 10 gg.

“Se continua a star male riportatela”.

Dopo una notte di sofferenza infame la riportiamo nello stesso ospedale che l’ha dimessa. Le chiamano dimissioni protette, non hanno capito un cazzo ma è da loro che devi ritornare.

Stesso pronto soccorso, un cartello appeso al muro avvisa che le aggressioni, anche verbali, al personale sanitario sono rilevanti penalmente.

In breve, se dici che non capiscono un cazzo e trattano le persone con arroganza e indifferenza, ti denunciano.

Arrivo ore 09,00 circa, mia madre ha dolori lancinanti allo stomaco, bianca cadaverica soffre in religioso silenzio, per non disturbare gli altri. È fatta così.

Noi figli no, siamo meno tolleranti, in modo educato ma deciso insistiamo affinché oltrepassi la porta che conduce alla fine del dolore, almeno temporaneo.
Non sarà così, invece di soffrire in sala d’aspetto, soffrirà oltre la porta, seduta su una panca, fino alle ore 16,00 circa.
Arriva la diagnosi: calcoli biliari. Ambulanza e via andare, nuovo ricovero presso un altro ospedale.

Arriviamo al nuovo ospedale e il medico esegue un’altra ecografia.
Calcoli biliari, forse.

Nel frattempo, dal primo ricovero, Maria ha cominciato la dieta forzata.
Vomita tutto quello che mangia, nonostante questo, continuano a servire il pranzo: pasta, carne, frutta.
Si va avanti con antidolorifici e Plasil (farmaco indicato per combattere la nausea e il vomito). Maria mangia poco anche del pranzo che cuciniamo ogni giorno per Lei. Pastina in brodo, un po’ di frutta, non mangia altro, non vuole mangiare altro. I dolori e le nausee sono devastanti.

Arriva il giorno della gastroscopia, dal primo ricovero sono passati 10 gg.
Devi sempre avvisare il personale che Maria ha dolori, che vomita di continuo affinché le diano gli antidolorifici e il Plasil, sempre, di continuo. Se non chiami soffri.
Arriva la diagnosi, di quelle che “mi sarei aspettata di tutto, ma non questo”: neoplasia.

Per gli ignoranti come me che si chiedono: che cazzo è una neoplasia? La neoplasia è un tumore, la gastroscopia evidenzia un tumore nella parete interna dello stomaco.

Il chirurgo ci spiega che si trova esattamente nella curva bassa dello stomaco, servirà un intervento chirurgico per asportarne circa 2/3 ma, spiega lui, si sopravvive.
Servirà una tac per evidenziare bene le dimensioni, la posizione esatta, poi si procederà con l’intervento.

La chemioterapia a 75 anni dà risultati mediocri che potrebbero risultare meno efficaci degli effetti collaterali. In questo caso non si seguirà il protocollo: chemio/intervento/chemio.

Qualcuno ci suggerisce di non farla operare, non lì, non in quell’ospedale. Non hanno ancora il risultato della biopsia e opereranno, non aspettano. Il reparto la dice tutta: chirurgia d’urgenza.

Chiamiamo ad aiutarci, nostro Padre, tutti i Santi, Gesù Cristo, la Madonna, Dio in persona, Fra Nazareno, i Frati di Sant’Ignazio, le Suore di Clausura, gli amici che non ci sono più ma possono aiutarci dall’alto, Zia Gina, Nonno, Nonna, zio Ignazio, Zio Alfredo, Totoneddu e zio Luigi, quelli che abbiamo potuto raggiungere fisicamente nella loro nuova casa, il cimitero.

Chiediamo aiuto anche a un luminare del bisturi, altro ospedale, affinché la accolga presso il suo reparto e la operi lui.

Ci riceve.

Dopo aver messo le cose in chiaro, dice: “Qui abbiamo un altro protocollo, rifaremmo tutte le visite, tutte le analisi e se si potrà operare interverremmo, altrimenti no”.
Freddo, deciso: “Queste sono le condizioni, dimettetela voi, noi non facciamo nessuna richiesta”. Ovviamente accettiamo.
Il giorno che avrebbero dovuto operarla, su nostra richiesta, Maria viene dimessa e accetta di buon grado la decisione di passare sotto “migliori attenzioni e cure mediche”.

Aprile 2016

Ricoverata nel reparto del bisturi illuminato ricomincia la trafila: tac, pet, gastroscopia, colonscopia, schermografia, analisi, contro analisi, sangue, urine, emocromo, antidolorifici, plasil e gastroprotettori, una pastiglia al giorno. Vediamo per la prima volta la sacca nutrizionale. Tutto sembra procedere per il meglio, il reparto è pulito, tutto sembra più preciso.
La sensazione iniziale è quella di esser arrivati nel posto giusto.

Dopo circa 8 giorni di investigazioni mediche, il tumore è sempre lì, nello stomaco, stabile, circoscritto, ma da solo non se ne va. Aspettiamo questo intervento chirurgico che non arriverà, non lì, non in quell’ospedale, in quel reparto che era sembrato quello giusto.
Le cose si complicano, oltre al tumore riscontrano anche un’embolia polmonare, e l’emocromo ci tradisce ancora, altra trasfusione. La seconda.

Decidono, il bisturi illuminato e il suo cerchio magico, in accordo con l’oncologa di un altro ospedale, che si seguirà il protocollo standard: chemio/intervento/chemio.
Siamo al quarto ospedale in ballo.

“Lei guarirà signora Maria”, dirà un medico della corte del chirurgo illuminato, “sarà un percorso difficile ma guarirà, dovrà essere forte ma ce la farà”.

“La dimettiamo, si presenti fra due giorni in quest’altro ospedale, la aspettano dalle 07:30 in poi”. “All’accettazione sanno che la riceverà la dottoressa che si confronta solo con il nostro cerchio magico della chirurgia, non parla con nessun altro dei sottoposti.”

“Per alimentarsi acquisti questi preparati/beveroni, comecazzosichiamano, in farmacia, prenda il paracetamolo per i dolori, il Plasil per i vomiti e faccia due iniezioni di eparina, una la mattina, una la sera”. Alè, da questo momento sono anche “infermiera”. “Signora”, dice il medico che la dimette, “può ingerire solo liquidi, niente cibi solidi”.

Perfetto, abbiamo la cura, seguiremo il protocollo, tutto finirà come nelle favole, vivremmo, provati da questa esperienza, ma felici e contenti.

Nel frattempo i dolori continuano, e il risultato delle nausee ha cominciato ad assumere un colore rosso scuro, se non sangue qualcosa di simile.

All’arrivo nel quarto ospedale, la dottoressa che si confronta solo con il cerchio magico, gentilissima ci spiega cosa succederà e fissa la data per l’inserimento della cannula, da lì a 15 giorni.

Sommati ai primi dieci giorni per la gastroscopia, i tre giorni del primo ricovero poi di nuovo tutte le visite, poi ancora tutti gli altri giorni di nulla, niente assoluto contro il tumore, fanno circa 45 giorni, più o meno.

Il tumore è sempre lì, da solo non se ne va, continua la sua vita e se mai lo avesse, il suo obiettivo. Provocare dolori, nausee e emorragie. Maria combatte con tutta la sua volontà, il tumore sembra accorgersene e non cresce, ma resta lì anche se circoscritto.

Per curiosità chiedo alla dottoressa: “Scusi, come dobbiamo comportarci per l’alimentazione?”

“Tutto, può mangiare di tutto!”

?

Il medico precedente aveva detto: “Solo liquidi”. Mah…

Torniamo a casa e aspettiamo il giorno stabilito per l’inserimento della cannula, che arriva.

Anestesia locale ma niente cannula, non si può, una conformazione fisica non idonea impedisce l’inserimento.

Opzione B = CVC (presidio medico utilizzato nei reparti di terapia intensiva per l’infusione di liquidi, la somministrazione di farmaci endovena, ma anche di nutrizione parenterale).
Due tubicini che escono da poco sotto il collo, poco sopra il petto, pronti ad accogliere oltre il composto chimico, chemioterapia, anche tutto il resto. Antidolorifici, sacca nutrizionale etc etc.

La terapia non sarà in day hospital, ricovero per qualche giorno. “Meglio” pensiamo, in caso di problemi interverranno subito.
Allora è deciso, dice la dottoressa che a furia di confrontarsi con il cerchio magico è diventata magica anche lei.

Cominciamo la prossima settimana.

Ma come? Altri sette giorni di niente?
Ho letto sul foglio di dimissioni dell’ospedale precedente, il terzo, che questo tumore ha un’elevata capacità metabolica!

“Sì”, dice la maga, “non si preoccupi, lo scrivono per tutti, ci vediamo il giorno prima del ricovero, voglio salutare Maria e vedere come vanno le cose”.

Andiamo via convinti che ormai il più è fatto, abbiamo imboccato la strada giusta.
Nei due giorni successivi Maria ricade nell’inferno dei dolori e delle nausee, chiamiamo l’ultimo ospedale presso il quale è in carico come paziente, per essere precisi l’ospedale della maga, e chiediamo assistenza medica. La maga non c’è, non ci sono letti disponibili, “Rivolgetevi all’ospedale precedente”.

Non ricordo bene se abbiamo telefonato o ci siamo recati direttamente nel reparto dell’ospedale precedente, comunque andiamo lì davanti al medico di turno che ci riconosce subito, ci riceve e comincia la visita.

Premessa.
Dimessa dal reparto con diagnosi inequivocabile: neoplasia, oltre ad altri termini incomprensibili a noi comuni mortali, che nessuno si prende mai la briga di spiegarti, nemmeno in modo superficiale.

“Allora Maria, cosa sente? Come sta?”
Spieghiamo che vomita di continuo, non riesce ad alimentarsi e sente forti dolori allo stomaco.
La risposta è la seguente: “Signora, probabilmente questo è dovuto allo stress, o alla depressione, magari per la consapevolezza di dover fare la chemioterapia. Se la ricovero adesso perderà l’appuntamento con la chemioterapia, e non possiamo permettercelo”.
“Non riesco nemmeno a mangiare”, ribatte Maria, “se mi date la sacca nutrizionale con antidolorifici e il farmaco contro le nausee magari questo mi aiuta ad arrivare al giorno della chemioterapia più in forze”.
Nuova risposta da Nobel della medicina: “Signora, adesso facciamo qualche controllo, pressione, visita cardiologica, emocromo e nel caso la tratteniamo ma dobbiamo utilizzare il sondino per alimentarla”.
C’è riuscito, Maria scappa dal reparto – ritorniamo a casa – e lui ammicca, tutto a posto.

Arriva il giorno precedente la chemioterapia, siamo in ospedale e parliamo con la maga, è tutto a posto, Maria è pronta a combattere con la sua forza, la sua volontà, il suo coraggio, noi siamo pronti a sostenerla amorevolmente.

“Dottoressa, scusi, volevo dirle che mia madre durante le nausee vomita una sostanza che sembra essere sangue, abbiamo anche chiamato la scorsa settimana per farlo presente, nessuno ci ha dato udienza in questo ospedale”.

“ALT, FERMI TUTTI, questo cambia tutto, se facciamo la chemioterapia in queste condizioni la paziente può morire”.
Questo mi fa pensare che se non te lo dico, tu procedi e mia madre muore, comincio a dubitare di esser approdata, anche in questo caso, NON nel posto giusto, sicuramente non con il medico giusto.

C’è un letto libero, ricovero immediato, “Andate al piano sottostante, vi aspettano in questo reparto”, nel frattempo di nuovo: gastroscopia, tac, pet, schermografia, analisi, controanalisi, sangue, urine.
Nel giorno fissato per la chemioterapia, mia madre ha bisogno assoluto di una trasfusione, l’emocromo è andato a puttane, due sacche. Questo periodo, il ricovero nell’ospedale della maga, lo ricordo come il più infame di tutti. Mia madre non mangiava niente se non due cucchiai di pastina in brodo che noi le portavamo ogni giorno, mattina e sera.
Solo quando noi abbiamo evidenziato che da giorni era a digiuno forzato, hanno cominciato a nutrirla con la sacca nutrizionale in 12 ore,
La mattina, ogni mattina, vomitava una sostanza rossastra dall’odore nauseabondo, se la morte ha un odore quello non doveva essere molto distante.

Fatte tutte le visite del caso, nel frattempo siamo arrivati a Maggio e il tumore è sempre lì, non si muove ma è lì, non si evidenziano emorragie, anche se comunque salta la chemioterapia. Un medico, una giovane fata dai capelli turchini, si appassiona al film horror che stiamo vivendo e ci consiglia la soluzione migliore.
“Vostra madre non può fare la chemioterapia, dev’essere operata subito, se fosse mia madre la porterei subito via da qui”.

Avvisiamo Maria, perché nel frattempo la maga insiste con la chemio, “Se non ci siamo noi non firmare niente, NON autorizzare la chemioterapia”. Scopriremo in seguito che il secondo ospedale non aveva fatto richiesta dell’analisi che permette di stabilire la percentuale di reattività delle cellule tumorali alla chemioterapia, perché troppo costoso (Dako HERCEPS test). La stessa dottoressa maga non si era preoccupata di verificare che l’esame fosse stato effettivamente effettuato.

Nel frattempo mia madre è passata da:

“Signora Maria, seguiamo il protocollo e lei dopo 3/4 mesi guarisce”

“Vostra madre ha il 10% di possibilità di sopravvivere se fa la chemioterapia, percentuale che non varia nemmeno con l’intervento chirurgico, la soluzione alternativa è che voi la accompagnate con dignità verso i suoi ultimi giorni di vita”.

Ecco, la maga adesso è diventata una brutta bagascia, incompetente, amica della morte. La vicinanza, la confidenza con la morte l’ha resa così cinica, oppure è solo tonta, ma è anche peggio.

Con la consapevolezza di aver fatto qualche cagata nel percorso, e dietro sollecitazioni telefoniche educate ma NON cordiali da parte di mia sorella Emanuela, la maga decide di risentire l’illuminato del bisturi.
“Bisogna operare, non c’è una soluzione alternativa. Prima di dire no, venite a vedere la paziente, è forte, ha un cuore sano ed è combattiva”, disse la maga al cerchio magico. L’illuminato decide di riconsiderare l’intervento e manda un componente del cerchio magico per un’ispezione visiva.

Li aspettavamo al varco, mio fratello ed io. Purtroppo i maghi sono entrati da una porta e usciti da un’altra, non so dove. Scomparsi, sono maghi, appunto.

Tralasciando i particolari di questa breve incursione, la fata turchina ci comunica che Maria sarà trasferita urgentemente nel reparto dell’ospedale precedente per essere operata d’urgenza, se non questa sera, dice, domani mattina.

Maggio inoltrato.

“Bene”, pensiamo, “questa è la volta buona”, ci concediamo una pausa due ore di relax, in una tavola calda vicino l’ospedale, un vero lusso di questi tempi. Arriva l’ambulanza e si porta via Maria.
Verso la guarigione, pensiamo sia tutto pronto, immaginiamo il reparto in fermento, la sala operatoria in preparazione, le luci accese, la barella sospinta di corsa nei corridoi, fate presto, fate presto!

Un pezzo di cazzo, questo succede solo nei film!
Noi comunque speravamo andasse così anche perché è giovedì, sono passati due mesi dal primo ricovero, di niente assoluto, solo visite, digiuni, analisi, dolori, vomiti e false speranze.

Arriviamo in reparto, quello nel quale dovrebbero operarla e penso che Maria sia già in sala operatoria, lo trovo invece sofferente, sdraiata sull’ennesimo lettino: abbassa la spalliera, alza la spalliera, abbassa la sbarra, avvisa l’infermiere che il flacone è terminato, disinfetta le mani, esci fuori a piangere per non farti vedere. Stanno proiettando un altro film dell’orrore.

Cerco un medico responsabile, trovo il vice mago: non cammina, fluttua nell’aria a mezzo metro da terra, giusto l’altezza della sua supponenza/arroganza. Più semplicemente una grande testa di cazzo.

“Piacere – piacere, io sono io lei è lei, quando operate mia madre?” Non hai scampo, devi darmi una risposta certa.

La risposta: “L’operazione non è semplice, la paziente è al limite dell’operabilità, ha un tumore allo stomaco, c’è un’embolia polmonare inoltre è fortemente depressa”.

La domanda arriva spontanea: “Scusi signor vice mago, con tutto quello che ha passato negli ultimi due mesi, pretende che faccia salti di gioia?”.

“In ogni caso”, dice il vice mago, “la settimana prossima si riunisce il cerchio magico e decidiamo cosa si può fare”.

L’urgenza è scomparsa, potere dei maghi.

Riunione di famiglia, scambio rapido di telefonate, riuniamo la task force e presa la decisione, SCATTA IL PIANO H).
Purtroppo i piani : A), B), C), D) E), F) e G), nonostante le migliori intenzioni, sono stati tutti una merda, complice l’ignoranza, il tempo perso, le incomprensioni, i dubbi atroci che ti assillano, il dolore del tuo caro che soffre.

Milano, l’eccellenza, la salvezza.

Ore 16,30 contatto l’agenzia di viaggi, il mio amico SuperSilvio mi aiuta e mi conforta, fa parte della squadra, è con noi, si mette in moto, servono tre biglietti per domani mattina, obiettivo raggiunto con successo.
Ore 19,00 dimissioni dall’ospedale. In camera Maria è seduta sul letto, una lacrima le riga il viso. La sacca del sondino naso gastrico contiene la sostanza che ogni mattina, nell’ospedale precedente ci ricordava la vicinanza della morte.

Chiamiamo il medico di turno e chiediamo che siano preparati i documenti per le dimissioni. “Va tutto bene, questo è un ottimo reparto, tuttavia ci si è presentata questa ghiotta occasione che non possiamo assolutamente perdere”. Lui prepara i documenti e nel frattempo chiama il mago che arriva in un baleno:
Vuole parlare con i famigliari.

“Purtroppo quando le cose non dipendono da noi la situazione può sfuggire di mano, questo è quello che è successo con vostra madre. Mi scuso per l’accaduto, mi dispiace, l’altro ospedale è una merda, la colpa è dell’altro ospedale, se fossi in voi farei la stessa cosa, a Milano faranno quello che che avremmo dovuto fare qui, operare subito”.

In quel momento ha ceduto il fianco per una coltellata vigorosa: “se lo sapevi, brutta testa di cazzo, perché non l’hai fatto 45 giorni fa?” Ho contato fino a dieci e in religioso silenzio ho ascoltato le sue giustificazioni. “Grazie, buona serata”, arrivederci non è auspicabile.

Ecco, dopo due mesi di niente questa è stata la risposta.

Maria è attesa nel nuovo ospedale, prima delle 11,00, per una visita con il medico che abbiamo scelto per lei, quando scegli paghi, giusto.
Partiamo in quattro, Maria, mia nipote, l’embolia polmonare ed io. Arriviamo sani e salvi, visita di venerdì mattina e ricovero quasi immediato, qui trottano tutti come puledri.

Rivedono la terapia, che era sbagliata, e decidono di somministrarle quattro gastroprotettori al giorno invece di uno soltanto la mattina, come prescritto negli ospedali precedenti. Maria ricomincia a mangiare qualcosa, la sostanza rossastra non si vede più. Di nuovo altre visite, altre analisi, richieste di analisi che avrebbero dovuto fare durante il percorso negli ospedali precedenti, analisi mai fatte con questa giustificazione: “Sa, queste analisi costano molto!”
– Quindi tu decidi di risparmiare sulla salute di mia madre? Brutto coglione miserabile.
Tralasciando la vicenda delle analisi fatte, non fatte, non richieste agli istituti preposti, dopo aver rintracciato tutto il possibile, mia nipote prende i tasselli con i tessuti della gastroscopia di Marzo, e li porta direttamente da noi, a Milano, in ospedale. A Milano rifanno di nuovo tutte le visite, tutte le analisi, scartano tutti i documenti partiti con Maria. L’embolia polmonare non c’è più.

Siamo arrivati a fine Maggio, il tumore è sempre lì, da solo non se ne va: sono passati quasi due mesi e mezzo dal primo ricovero.

Di nuovo analisi, contro analisi, una febbre improvvisa, una tosse da incubo, l’ingrossamento dell’aorta, una tac, una pet, una schermografia, emocromo, gastroscopia, colonscopia, una flebite, una caduta improvvisa, mi siedo qui, ma la sedia da sola non si avvicina, l’ossigeno, il controssigeno, la febbre, maschere e mascherine, mettiamo le cannule, non le mettiamo, facciamo la chemio, si però vabbeh, magari no, non la facciamo, fino a quando una sera, di venerdì, si presenta un tipo in stanza, nella stanza dell’ospedale, un uomo giovane, non avrà avuto più di 35/40 anni.

“Buona sera Maria, sono il chirurgo, lei non può più stare così, lunedì mattina la opero”. Io mi sono girata e guardandolo ho pensato: eccolo, è lui, Gesù Cristo.
Lunedì invece di operare Maria, ha salvato una persona in pericolo immediato di vita, e il giorno successivo, martedì mattina, ha salvato Maria.

A mezzogiorno Maria è scesa in sala operatoria, è risalita in camera alle 18,45. Non siamo andati a cercarlo per avere informazioni sull’intervento, è venuto lui e ci ha comunicato che l’intervento era andato bene, nessuna complicazione di sorta, il cuore aveva continuato a fare il suo lavoro ordinario, i polmoni lo stesso. Fin qui tutto bene.

Il tumore non c’è più, 1 giugno 2016.

Il decorso post operatorio procede bene fino a che 10 giorni dopo l’intervento, domenica mattina, ore 8.30, una brutta infezione vuole prendersi Maria, l’infermiera che entra in camera la trova con gli occhi sbarrati, immobile: coma.
Scatta l’emergenza, i medici approntano la sala operatoria e decidono di vedere se qualcosa sta andando storto nel decorso post operatorio. Richiamano tutti i reperibili, mia sorella ed io autorizziamo il nuovo intervento, Maria rischia di morire. Verso mezzo giorno Maria esce dalla sala operatoria, entra in quella di rianimazione, l’infezione non è dovuta all’intervento ma non si arresta e non si capisce da cosa dipenda.

A tarda sera il medico ci chiama e comunica che non sanno da cosa dipenda, sembra un avvelenamento ma non si sa bene cosa lo abbia provocato: acidosi metabolica, è questione di ore, l’infezione non si arresta, se continua tutti i sacrifici fatti negli ultimi mesi, ogni singolo secondo di lotta contro il tumore e contro il tempo sarà stato inutile.

Il medico del reparto terapia intensiva ci chiede il numero di telefono, “Non succederà niente, però non si sa mai”. La verità è una e una soltanto: sta per morire.

Verso le 23 di sera lasciamo l’ospedale sperando che non arrivi mai la telefonata, mia sorella ed io piangiamo imprecando contro il nulla.

La notte passa e nessun telefono squilla, la mattina raggiunto il reparto, i medici ci comunicano che c’è stato un leggero miglioramento, non è molto ma se non altro non c’è stato un peggioramento.

Tre giorni dopo, altra trasfusione, Maria lascia il reparto di terapia intensiva, ce l’ha fatta anche questa volta. E’ confusa, arrabbiata, spaventata, ma viva.

Ritorna in reparto e continua un nuovo decorso post operatorio fino al giorno delle dimissioni. “Maria, è tutto a posto, venga ogni due giorni per i controlli di routine fino a fine luglio”.

La ferita dell’intervento si è rimarginata bene, l’intervento è andato bene, la cura procede bene.

Maria ha ricominciato una nuova vita, fatta di qualche rinuncia alimentare, qualche sacrificio in più ma comunque una nuova vita, cominciata con una vacanza in montagna.

Ringrazio a suo nome, e di tutta la famiglia, tutti quelli che ci sono stati vicini e ci hanno aiutato moralmente nei momenti di sconforto, di dubbi atroci, di scelte difficili.

Ringrazio anche quelli che non hanno saputo aiutarci perché nella nuova vita di mia madre non ci sono più.

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